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Il terapeuta di mio figlio

Gentilissimi, mi piace molto la vostra iniziativa perchè ci permette di poter comunicare anche non stando nella stessa città, ma che purtroppo viviamo le stesse esperienze. Genitori single, per scelta, per storie andate male, per morte del compagno o marito. Questo ultimo esempio è il nostro caso, il genitore morto di cancro davanti al figlio di 7 anni.

Oggi, lui ha 8 anni ma lo osservo e vedo un fanciullo perso, alla ricerca di un genere maschile. Mi sono rivolta ad un centro psicologico privato e loro mi hanno affiancato uno psicologo, dal genere non definito; questo sta creando ancora più confusione nel bambino, che rifiuta questa persona. Vorrei assecondare mio figlio, ma lui continua a sostenere che il bambino si deve abituare alla sua persona. Come vi comportereste voi?
Cordialissimi saluti
MM

Buongiorno Manuela, la ringraziamo per la mail e per l'attenzione che ci ha accordato.  Immaginiamo quanto sia difficile per lei in questo momento prendere la decisone giusta nell'interesse di suo figlio, trovandosi lei stessa in una situazione di genitorialità al singolare tutt'altro che semplice dopo un evento luttuoso come quello che descrive. E' molto difficile dare un parere su un caso come questo, di cui sono poche le informazione in nostro possesso: non è possibile stabilire che il rifiuto del bambino sia effettivamente legato allo psicologo che descrive "di genere non definito", e non è detto che il problema di suo figlio -che dice di vedere "perso" - sia legato solo alla figura maschile e non piuttosto al grave lutto genitoriale che lo ha colpito.
In generale quello che fa "guarire" in queste situazioni trapeutiche è proprio la relazione fra il terapeuta e il bambino: gli eventi luttuosi nei bambini, infatti, imprimono una ferita profonda alla loro spontanea fiducia nell'esistenza, e solo una relazione sufficientemente affidabile e solida è in grado di ripristinarla. Ma cosa sia alla base di una relazione che guarisce dipende da moltissimi fattori, che non hanno spesso a che vedere col "genere" del terapeuta, neppure se -come si intuisce dal suo riferimento piuttosto generico- si trattasse di un terapeuta omosessuale.
Piuttosto, uno dei fattori che contribuisce al ripristino della fiducia nei bambini è proprio l'atteggiamento delle figure di riferimento, ed in particolare il genitore, rispetto al terapeuta. Per questo ci sembra che in questo caso il problema vero non sia tanto la relazione fra bambino e terapeuta ma fra mamma e terapeuta: lei non si fida di questa persona e dunque di questo trattamento e pensa che non sia di aiuto per suo figlio. Anche lei nel triangolo terapeutico ha un ruolo importantissimo e la sua fiducia è di vitale importanza per la riuscita dell'intervento terapeutico; suo figlio, infatti, risente dei suoi "umori", attraverso sottilissimi segnali e senza saperlo può agire intrepretando le sue perplessità piuttosto che le proprie; insomma, anche se non glielo dice esplicitamente, lei può influenzarlo in merito a ciò che pensa del suo psicologo, sia in senso favorevole che sfavorevole.
Ecco dunque che si rende necessario un consiglio: non lasci la cosa inepressa, l'affronti serenamente con lo psicologo, chieda un colloquio ed esprima le sue riserve. Parli però di sè con questo psicologo, esprima le proprie perplessità non quelle di suo figlio, di cui non ci è dato invece di sapere e che come detto potrebbero essere solo un riflesso delle sue. E' possibile che concordiate -nell'interesse di suo figlio- un cambio di terapeuta oppure che lei riveda la sua perplessità e scopra che di questo professionista invece si può fidare. Ripristinando anche la sua di fiducia, che ha bisogno anch'essa di essere sostenuta. Questo è il suggerimento che professionalmente ci sentiamo di fornirle in questo contesto così sintetico.
Le auguriamo ogni bene.
Genitori Singolari

 

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