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Ricostruire una nuova famiglia, a cosa fare attenzione?

Buongiorno, mi chiamo Cinzia e ho 35 anni. Dopo una separazione difficile col padre di Andrea (6 anni), da un anno frequento un nuovo compagno, anch'esso separato da due, padre di una ragazzina di 12 anni. Ci vogliamo bene e stiamo facendo progetti per il futuro.

Confesso che da sempre il desiderio che ho è di dare una nuova opportunità ad Andrea di vivere in una famiglia "vera", anche se il padre di Andrea esiste ed esisterà sempre; ma è molto "distratto", per dirla con un eufemismo, e anche io sarei contenta di trovare un nuovo "alleato" che mi affianchi nella sua crescita. La figlia del mio nuovo compagno è una ragazzina sveglia e andiamo d'accordo; vive anche con la madre (nelle modalità che hanno definito loro c'è un'alternanza al 50-50: una settimana dalla madre e quella dopo col padre). Io non conosco la mamma di Alessia, ma il mio compagno ha trovato un modo direi buono (certo più buono del mio) per dialogare sulla figlia con l'ex. Anche i nostri due figli fra di loro sembrano apprezzare la possibilità di trovarsi un fratello/sorella per casa, non ci sono rivalità, almeno in apparenza. Tuttavia hanno due caratterri molto diversi e non escludo che in futuro potrebbero esserci conflitti, soprattutto da parte di lei. La domanda che pongo è: cosa dobbiamo considerare prima di decidere di vivere insieme? Grazie

Cinzia M.

Si chiamano famiglie “ricomposte” o “ricostituite”: sono quelle famiglie composte da partners che escono da precedenti matrimoni o convivenze e che decidono di ricostruirsi una famiglia con un nuovo compagno/a, portando con sé i figli nati dal precedente legame. Queste nuove forme familiari sono cresciute di molto negli ultimi dieci anni, anche in conseguenza dell'aumento delle separazioni e dei divorzi. Ecco alcuni dati. Secondo gli ultimi dati Istat, infatti, le famiglie ricomposte passano dal 16,9% del 1998 al 28% del 2009. Le famiglie ricostituite coniugate sono 629 mila. Circa il 40% delle coppie ricostituite vivono con i figli di entrambi i partner mentre nel 12,9% dei casi vivono sia con i figli nati all’interno della nuova famiglia che in quella pregressa. Infine, circa l’8,5% delle coppie ricostituite vivono con i figli della sola madre, contro l’1,5% dei casi in cui i figli sono solo del padre.
Il problema di queste nuove forme familiari è prettamente relazionale e di comunicazione. Non sempre, infatti, l’integrazione di membri appartenenti a due famiglie diverse riesce come si vorrebbe. In questi casi, occorre prendere in considerazione l’idea di cercare un aiuto esterno, in particolare se i figli mostrano marcata ostilità verso il nuovo arrivato/a,  se ciò è causa di forte stress per i due membri della coppia, o se emerge una difficoltà ad essere riconosciuti come famiglia dalla famiglia d’origine della coppia: oltre a tutto ciò, possono esserci problemi a condividere ruoli genitoriali con gli ex coniugi, ma anche nell'educare e crescere figli non biologici. Tante e diverse possono essere le ragioni per cui la nuova famiglia ricomposta potrebbe non funzionare: l'importante è comprendere che nulla avviene per caso, che ricostruire una esperienza familiare è una bella cosa ma che spesso occorre impeganrsi per migliorare la comunicazione e stabilire ruoli e confini fra i vari membri della famiglia.
Nella famiglia ricomposta si vive una complessità ricca di relazioni, emozioni, tensioni e risorse; i processi relazionali possono essere difficili, sia nella comprensione che nella gestione; sono dinamici ed hanno uno sviluppo ed un’evoluzione rapida. Queste forme familiari hanno caratteristiche differenti da quelle tradizionali, per esempio nella famiglia ricostituita la gerarchia adulti/genitori e giovani/figli è più sfumata, sono invece più importanti i legami tra i consanguinei e i ruoli fra i due genitori differiscono in modo significativo: generalmente c'è un “potere” differente (in termini di persuasione e di efficacia) tra l’adulto-genitore e il non-genitore.
La caratteristica di fondo della famiglia ricostituita è di avere dei confini più incerti e ambigui di quella coniugale, in termini sia biologici che giuridici. In particolare quando entrambi i genitori hanno alle spalle un matrimonio e portano con sè almeno un figlio, la nuova famiglia che creano è portatrice di storie diverse e diversi modi di affrontare i problemi, dove è essenziale trovare un adattamento per affrontare insieme le nuove situazioni. Spesso sono soprattutto i figli a segnalare, nelle forme più disparate, la difficoltà di accogliere il nuovo equilibrio che si viene a creare: difficoltà scolastiche, problemi nel ciclo sonno-veglia, enuresi notturna ei bambini, l’asprirsi di conflitti, comportamenti devianti oppure disturbi alimentari negli adolescenti.
I partners al secondo matrimonio/convivenza devono affrontare un compito particolare: integrare se stessi e i propri figli all'interno della nuova struttura della famiglia ricostruita. Per ogni individuo, quest’integrazione implica una rielaborazione del proprio modello di famiglia e delle proprie aspettative verso la vita familiare. Questa sfida al concetto di famiglia dell’individuo, può contribuire al senso di shock e di disorientamento riportato da molte persone riaccompagnate. È importante che le precedenti relazioni coniugali siano state adeguatemente rielaborate in modo da poter iniziare un nuovo rapporto, diverso da quello passato e non motivato da rancori, insicurezze, sensi di colpa o altri nodi relazionali non-risolti: il rischio è quello di andare incontro ad una seconda separazione, facendola subire nuovamente ai bambini . Le ricerche finora condotte mostrano che le seconde nozze sono più fragili delle prime:  le persone divorziate che si risposano, divorziano nuovamente con una frequenza maggiore di quelle che si sposano per la prima volta. Ciò può avvenire sia perché sono più disposte a ricorrere al divorzio qualora il matrimonio sia infelice, sia perché la qualità del rapporto che nasce con le seconde nozze è spesso più difficile da gestire di quello delle prime nozze, ma anche perché non sono ancora pienamente istituzionalizzate.

(a cura di V.Perretti, www. psicologia @lavoro.it)

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