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Le funzioni di un genitore

Il significato del termine genitorialità è, in questi ultimi anni, continuamente in evoluzione. Sempre maggiore diventa la sua complessità e sempre più ramificato il suo intrecciarsi con altri aspetti della ricerca clinica e psicologica. Semplificando possiamo storicamente partire da una visione psicopedagogica della genitorialità per arrivare alle ipotesi odierne che la considerano, in termini psicodinamici, una parte essenziale della personalità di ogni adulto.


Una prima concezione, che possiamo appunto definire psicopedagogica per le sue applicazioni anche di tipo formativo, vede la genitorialità come il lungo e continuo apprendistato per imparare l’arte di essere genitori. Genitorialità è, in questa accezione, il processo dinamico attraverso il quale si impara a diventare genitori capaci di prendersi cura e di rispondere in modo sufficientemente adeguato ai bisogni dei figli; bisogni che sono estremamente diversi a seconda della fase evolutiva. Di questo filone fanno parte i famosi Parent Effectiveness Training (P.E.T.) avviati da Gordon, allievo di Rogers, negli anni 70 e che qui in Italia hanno dato l’avvio ai Corsi per “Genitori Efficaci”. A partire da questa esperienza vanno poi segnalate le diverse “Scuole per Genitori” o “Educazione dei Genitori” che si sono diffuse negli anni 90. Particolare menzione merita la metodologia avviata dall’Università Salesiana di Roma. Se “Genitori Efficaci” poneva attenzione alle modalità relazionali di ascolto e di comunicazione, i ricercatori dell’Università Salesiana , facendo riferimento al modello dell’Analisi Transazionale, allargavano la prospettiva individuando i compiti evolutivi delle diverse fasi, sia in riferimento ai bisogni dei bambini sia tenendo presenti i bisogni dei genitori. Concetto di base, ripreso da Levin, è che la crescita umana è fatta di stadi che si ripetono continuamente nel corso della vita e che le diverse fasi evolutive dei figli riattivano bisogni ed angosce che fanno parte della propria storia evolutiva.

Una concezione più psicologica vede invece la genitorialità come parte fondante della personalità di ogni persona. E’ uno spazio psicodinamico che inizia a formarsi nell’infanzia quando a poco a poco interiorizziamo i comportamenti, i messaggi verbali e non-verbali, le aspettative, i desideri, le fantasie dei nostri genitori. Riprendendo il termine di uno dei precursori di questo concetto, Eric Berne , abbiamo un “Genitore Interno” che è formato da tutte le interazioni reali e/o fantasmatiche con le figure adulte significative che si sono occupate di noi. Da questo “Genitore Interno” dipendono in gran parte i nostri giudizi su noi stessi e i modelli relazionali che usiamo per rapportarci con gli altri. Le teorie dell’attaccamento sono su questa linea. Il costrutto di "Internal Working Model" ridefinisce con altre parole lo stesso concetto: le esperienze reali con le figure di attaccamento vengono interiorizzate in modelli mentali. L’attaccamento quindi è visto come un “fenomeno globale che non interessa più soltanto la qualità delle relazioni nell’infanzia ma che coinvolge il loro significato dalla prima infanzia all’età adulta“.

Si potrebbe forse parlare di genitorialità come di uno stadio evolutivo nei termini con cui li definisce Erikson: “La forza acquisita a ciascun stadio si rivela nell’esigenza di trascenderlo e di rischiare nel successivo quelli che nel precedente costituivano gli elementi più vulnerabili e preziosi”. E come sottolinea lo stesso Erikson lo stadio da lui definito come GENERATIVITA’ è l’aspetto evolutivo più importante poiché implica tutti quegli sviluppi che hanno fatto dell’uomo un essere che si “occupa di”. La generatività, per questo Autore, è quindi il culmine dello sviluppo psicosessuale e psicosociale. La mancanza di questo stadio rinchiude la persona in un bisogno ossessivo di intimità che porta ad un senso di stagnazione. In queste parole sembra esserci tutta l’attuale ricerca sulle dinamiche di coppia e sulla famiglia. Come la coppia infatti risolve al suo interno l’equilibrio tra separatezza-confini-segreti-spazi individuali e intreccio-spazi vissuti insieme-pensieri ed emozioni verbalizzati e condivisi-, è appunto questo equilibrio tra solitudine ed intimità che è il presupposto dinamico ( la forza nei termini di Erikson) da cui prende sviluppo la generatività.
“E’ il legame di coppia che rappresenta lo snodo del passaggio da <oggetto di cura> a <caregiver> ” .E’ il trasferimento del legame di attaccamento dalle figure genitoriali verso il partner e il passaggio da una modalità unidirezionale (essere oggetto di cura) ad una modalità reciproca(“mi prendo cura di te come tu ti prendi cura di me”)che rappresenta il ponte verso la generatività cioè la capacità di dare origine ad un’altra vita , ad un nuovo essere di cui mi prendo cura in modo unidirezionale (“io mi prederò sempre cura di te, qualsiasi persona tu sarai” )
Le formidabili intuizioni di Erikson quindi sembrano essere confermate dall’attuale ricerca soprattutto nel campo del “ciclo di vita”.

Ma mentre la generatività, nella concezione dello psicoanalista americano, è “anzitutto la preoccupazione di creare e dirigere una nuova generazione” e quindi ha un significato eminentemente sociale e culturale (anche se rappresenta in ogni caso l’evoluzione della propria affettività), il termine genitorialità si differenzia per la ricchezza e la complessità dei processi psicodinamici che in essa sono impliciti.
Il termine genitorialità non coinvolge l’essere genitori reali ma è uno spazio psicodinamico autonomo che fa parte dello sviluppo di ogni persona. Ovviamente, l’ evento reale della nascita di un figlio, attiva in un modo particolare e molto intenso questo spazio mentale e relazionale, rimettendo in circolo tutta una serie di pensieri e fantasie legati in particolare al proprio essere stati figli, alle modalità relazionali ritenute più idonee, ai modelli comportamentali da avere.

Un modo per capire la complessità e la vastità di ciò che definiamo genitorialità è analizzare le sue funzioni o meglio i suoi modi di esprimersi. Possiamo così in modo semplicistico e sintetico suddividere una funzione protettiva, affettiva, regolativa, normativa, predittiva, rappresentativa, significante, fantasmatica, proiettiva, differenziale, triadica , transgenerazionale.

    Funzione PROTETTIVA: è la funzione tipica del caregiver che consiste nell’offrire cure adeguate ai bisogni del bambino. Con Brazelton e Greenspan possiamo dire che le figure dei caregiver rispondono soprattutto al bisogno di sviluppare costanti relazioni di accudimento e al bisogno di protezione fisica e di sicurezza. Relazione di accudimento in quattro modalità:
    1. presenza dentro lo stessa casa
    2. presenza che il bambino osservi e veda
    3. presenza che faciliti l’interazione con l’ambiente
    4. presenza che interagisce con il bambino
    E’ evidente il crescere dell’ intensità della “presenza” dal 1° al 4° punto che secondo gli autori devono essere comunque tutti presenti per uno sviluppo sano del bambino
    Le modalità di protezione fisica e sicurezza sono influenzate molto dalla cultura di una determinata comunità sociale e quindi per questi autori è importante che una società definisca al suo interno le condizioni sane dello sviluppo umano e che consideri questo come una priorità sociale. Come a dire che le modalità protettive sono coltivate da una società attenta al benessere di ogni persona.
    La funzione protettiva più di tutte determina il legame di attaccamento. Lo scopo dell’attaccamento è infatti “la vicinanza della figura materna” e “il mantenimento di una relazione di attaccamento è vissuto come fonte di sicurezza mentre una minaccia di perdita origina ansietà e spesso collera e, una perdita effettiva, quel tumulto di sensazioni che è il dolore” .E’ evidente come la funzione protettiva determini quell’esperienza fondamentale che Bowlby ha chiamato “base sicura”: “la personalità sana non si rivela assolutamente indipendente. Gli elementi essenziali sono dati da una capacità di far fiduciosamente conto sugli altri quando l’occasione lo richieda e sapere su chi è giusto fare conto“
    funzione AFFETTIVA . E’ soprattutto Daniel Stern che ha introdotto nelle sue ricerche sull’ interazione madre-bambino i colori e le tonalità di questo rapporto. Alcuni termini da lui usati fanno parte ora del linguaggio psicologico “comune”. Come ad esempio “sintonizzazione affettiva“, dall’autore descritta in termini molto particolari come “ l’ esecuzione di comportamenti che esprimono la qualità di un sentimento condiviso senza tuttavia imitarne l’esatta espressione comportamentale” , e che tuttavia oggi ha assunto un significato più generalizzato di capacità di entrare in risonanza affettiva con l’altro senza esserne inglobato.
    Altro termine è “affetti vitali” il quale cerca di rappresentare il “colore” legato ad alcuni gesti, ad alcune routines, a frasi, parole che contengono al loro interno un dimensione relazionale affettiva e un sentimento che si traduce nel far sentire qualcosa di tonico emotivo al bambino
    Così il “mondo degli affetti” che definisce la qualità emotiva-affettiva dentro la quale il bambino è inserito. In questo senso sono stimolanti le ricerche sulle EMOZIONI POSITIVE come il dato centrale della spinta evolutiva del bambino. Non si parla più, quindi, di pulsioni come motore dello sviluppo ma questo è rappresentato dalla ricerca di vivere e rivivere emozioni positive insieme ad un altro. L’interazione con il mondo degli adulti è guidata in modo principale dalla ricerca di emozioni positive da con-dividere. Il desiderio , in questo senso, “implica un’insieme di aspettative e uno scenario immaginario all’interno del quale vi sono gli obiettivi e le azioni degli altri in relazione a sé stesso e, spesso, gli esiti piacevoli e positivi di tali relazioni” . Questa frase riferita al bambino potrebbe essere nel contempo riferita ai genitori e al loro desiderio di vivere emozioni positive con il proprio figlio. E’ questa la base psicodinamica della funzione affettiva. E tutto questo rimanda alla dinamica affettiva del desiderio dentro la relazione affettiva. Si pensi, per inciso,a come l’attuale ricerca sulle emozioni positive possa avere una ricaduta estremamente importante negli interventi clinici con il bambino visti quindi non solo come spazio dove elaborare le difficoltà relazionali ma come spazio dove il bambino può vivere nuove emozioni positive perché è attorno a queste che si coagula il suo mondo affettivo e relazionale.
    Funzione REGOLATIVA– Sempre di più nella psicologia dell’infanzia e in psicopatologia dell’età evolutiva si fa riferimento al concetto di regolazione. La regolazione va intesa come la capacità che il bambino possiede fin dalla nascita di “regolare” appunto i propri stati emotivi e organizzare l’esperienza e le risposte comportamentali adeguate che ne conseguono . Ma le strategie per la “regolazione di stato” sono inizialmente fornite dal caregiver. La difficoltà del caregiver a questo livello porta a disturbi della regolazione (difficoltà nel regolare il comportamento, i processi sensoriali, fisiologici, attentivi, motori o affettivi, nell’organizzare uno stato di calma, di vigilanza, o uno stato affettivo positivo). La funzione regolativa genitoriale può avere un funzionamento iper (con risposte intrusive che non danno tempo al bambino di segnalare i suoi bisogni o i suoi stati emotivi), ipo (quando vi è una mancanza d risposte), inappropriata (quando i tempi non sono in sincronia con il bambino) . Sulle difficoltà regolative del caregiver tuttavia non esistono per ora studi in grado di correlare queste difficoltà a particolari aspetti dello sviluppo relazionale del caregiver stesso. In ogni caso sempre di più ci si sta accorgendo come la capacità di regolazione sia la base per poter decodificare le proprie esperienze e non sentirsi sopraffatti da queste. “Il processo fondamentale sottostante alle esperienze di guardare, ascoltare, prestare attenzione, parlare, modulare l’affetto e il comportamento, sentirsi calmi..è la capacità di regolazione” Tanto che in psicoterapia “il primo obiettivo terapeutico è aiutare la persona a sentirsi calma, regolata, interessata al mondo che la circonda” Il terapeuta quindi esercita in primis una funzione regolativa. E’ indubbiamente una pista di ricerca estremamente interessante.
    Funzione NORMATIVA Conseguente all’evolversi della funzione regolativa o forse come funzione a sé stante sta la funzione normativa che consiste nella capacità di dare dei limiti, una struttura di riferimento, una cornice e corrisponde a quel bisogno fondamentale del bambino che è i bisogno di avere dei limiti, di vivere dentro una struttura di comportamenti coerenti. Al centro della capacità di dare delle regole sta come scrivono Brazelton e Greeenspan le aspettative e la consapevolezza dei compiti evolutivi di quella determinata età. La funzione normativa riflette l’ atteggiamento genitoriale di fronte alle norme, alle istituzioni, alle regole sociali. E’ il “principio della legge e dell’ordine che dà ad ognuno la sua parte di privilegi e di limitazioni, di doveri e di diritti” . E’ forse questa una delle funzioni genitoriali che mette più a contatto la storia normativa personale e la cultura dell’epoca nella quale si vive (genitore sociale)
    Funzione PREDITTIVA E’ la capacità del genitore di prevedere il raggiungimento della tappa evolutiva imminente. I genitori adeguati sanno percepire in modo realistico l’attuale stadio evolutivo del bambino e sanno però nel contempo intuire quei comportamenti che promuovono e sviluppano il nuovo comportamento. Come scrivono in modo poetico e psicologicamente profondo Trad e Kernberg “una diade è un’unità al cui interno la crescita e il cambiamento di uno dei membri implica la crescita e il cambiamento anche dell’altro” . Una difficoltà a questo livello può comportare una serie di disturbi evolutivi sul piano somatico, cognitivo e motivazionale. La funzione predittiva non è solo la capacità di intuire e facilitare lo sviluppo del bambino ma soprattutto la capacità di cambiare modalità relazionali con il crescere del bambino e con l’espandersi del suo mondo e delle sue competenze.
    Funzione RAPPRESENTATIVA .E’ ciò che ben ha descritto Stern e che possiamo definire lo “schema di essere con” e che presuppone un insieme di interazioni reali con il bambino. Lo “schema di essere con” infatti si basa sull’esperienza interattiva di essere con una persona particolare in un modo specifico oltre ad essere una rete di molti “schemi di essere con” collegati da un tema comune ( ad esempio <fare il bagnetto>).Oltre a queste rappresentazioni situazionali esistono poi rappresentazioni dello “schema di essere con” più generalizzate e che corrispondono ad esempio a “schemi della madre relativi alla propria madre”. Queste rappresentazioni generalizzate diventano attive nel momento in cui entrano nell’interazione specifica con il bambino. La funzione rappresentativa è poi continuamente arricchita da nuove rappresentazioni di “essere con” che allargano il mondo interattivo del bambino e dei suoi genitori. Per funzione rappresentativa va intesa proprio questa capacità di modificare continuamente le proprie rappresentazioni in base alla crescita del bambino e dell’evolvere delle sue interazioni, facendo nuove proposte o sapendo cogliere dal bambino i suoi nuovi segnali evolutivi. Infatti “finché le rappresentazioni del bambino non vengono modificate, il bambino, per quanto gli è ancora possibile, agirà come faceva prima dei cambiamenti avvenuti nei suoi genitori” . Lo sviluppo del mondo rappresentazionale del bambino, sembra dire Stern, è conseguente ai cambiamenti delle rappresentazioni genitoriali.
    Funzione SIGNIFICANTE Bion parla di “funzione alfa” della madre come capacità di dare un contenuto pensabile e/o sognabile, in definitiva utilizzabile dall’apparato psichico, alle percezioni, alle sensazioni del neonato che sono ancora prive di spessore psichico. La madre costituisce attraverso la reverie un contenitore dentro il quale il bambino inizia a pensare poiché adattandosi ai bisogni del bambino aiuta il bambino stesso a com-prendere il suo bisogno. Questo postula un complesso intreccio di proiezioni e identificazioni tra madre e bambino. Riprendendo uno dei modelli cognitivi oggi utilizzati anche in ambito filosofico possiamo dire che la madre crea una cornice che dà senso all’azione del bambino. Questo dare senso, ai suoi bisogni, ai suoi gesti all’inizio casuali, ai suoi movimenti, alle sue espressioni, inserisce il bambino in un mondo di senso. Il quale è diverso dal “semplice” senso legato alle singole rappresentazioni le quali, naturalmente, hanno e forniscono una loro cornice. Ma questa funzione genitoriale sembra implicare un processo ulteriore quasi un “pensare le rappresentazioni”, un inserirle in una cornice più ampia che è data dal significato che ha per me la relazione con il bambino in questo particolare momento della mia vita e delle mie relazioni. E in una cornice ancora più grande che è il senso della vita per me e del pensare la mia vita, il senso delle relazioni che vivo e il pensare queste relazioni.
    Funzione FANTASMATICA “Nella stanza di ogni bambino ci sono dei fantasmi. Sono i visitatori del passato non ricordato dai genitori; gli ospiti inattesi al battesimo.” “Il genitore sembra essere condannato a rappresentare nuovamente la tragedia della sua infanzia con il proprio bambino” . Se la Fraiberg parla di fantasmi come di ricordi non elaborati possiamo però allargare il termine fantasma a tutte le fantasie. Le fantasie servono non solo per conoscere la realtà (nel confronto tra mondo fantasmatico e mondo reale che ci porta a dire “non è così”) ma le fantasie hanno soprattutto la funzione di “fondare l’essere e costituirne l’identità“. Il bambino che nasce si inserisce all’interno dei fantasmi familiari dei genitori. Ogni individuo ha un proprio romanzo familiare costruito attorno alle proprie fantasie infantili, un mondo immaginario fatto di fantasmi consci e preconsci. La nascita di un bambino implica un passaggio dei genitori ad uno stato nuovo. Vi è un gioco di specchi tra quello che i genitori sono stati come bambini, quello che avrebbero voluto essere, quello che i loro genitori sono stati, quello che vorrebbero che fossero stati, quello che è il bambino reale , quello che è il bambino desiderato e fantasticato. E’ questa un’area che si sta esplorando molto intricata ma anche molto intrigante. Un genitore sano vive questa ricca vita fantasmatica. Infatti solo questa può favorire la nascita di una nuova identità che è appunto il connubio tra fantasia e realtà.
    Funzione PROIETTIVA Vi è una mutualità psichica tra genitori e bambino all’interno della quale occupa un posto fondamentale la proiezione. Riprendendo un’immagine utilizzata da Manzano, Palacio Espansa e Zilkha “l’ombra dei genitori è caduta sul figlio” sia, come spiegano gli autori, direttamente ( ad esempio proiettando sul figlio l’immagine ideale del figlio che avrebbe voluto essere) sia attraverso l’ombra degli oggetti interni ((intendendo con questi parti di sé). Tali modalità sono quindi narcisistiche nel senso che ciò che viene visto, amato, sognato, desiderato non è l’oggetto esterno (che è sempre diverso da sé) ma parti di sé o immagini di sé. E’ ciò che gli autori chiamano “scenari narcisistici della genitorialità”. Tali scenari possono dar luogo a psicopatologie nel momento in cui tali proiezioni siano molto invasive e disturbanti della relazione reale con il bambino. Ma esse fanno parte anche di una sana genitorialità il cui aspetto narcisistico è parte del quadro relazionale.Questa funzione rientra nella più ampia funzione fantasmatica ma la si è definita a parte per l’importanza che il narcisismo genitoriale ha nelle dinamiche proiettive. Il narcisismo, sia materno che paterno, ha uno spazio fondamentale nel costruire l’immagine del bambino e nel collocarla appunto dentro un particolare scenario di sviluppo. La relazione con il bambino è sempre una relazione oggettuale come essere diverso da sé ma è sempre anche una relazione narcisistica con parti di sé viste nel bambino. E’ la dinamica tra queste due relazioni co-presenti a costituire il confine tra normalità e psicopatologia. Si veda ad esempio l’interessante ricerca svolta da Carbonetto e Filingeri in cui risulta che già durante la gravidanza vi siano diverse modalità fantasmatiche. Una che vede il feto come proiezione narcisistica, come parte di sé; una che lo percepisce come essere a sé stante e lo considera come altro da sé, definendo da subito un rapporto a due. Già durante la gravidanza quindi vediamo in azione il prevalere di una relazione narcisistica o di una relazione oggettuale; del figlio come rappresentante di parti di sé o del figlio come altro, con propri desideri, aspettative, con una sua vita affettiva e sociale. Va sottolineato inoltre come all’interno di questa funzione proiettiva si collochi la capacità di tollerare la separazione, l’indipendenza, l’autonomia del figlio. Di considerarlo quindi come oggetto a sé stante e non come oggetto narcisistico. Potremmo dire quindi che la funzione proiettiva va continuamente rielaborata dal genitore per poter sempre di più dare spazio alla relazione oggettuale, alla relazione con il figlio-altro-da-sé. Poiché solo quest’ultimo può vivere positivamente la propria autonomia, il proprio unico modo di essere.
    Funzione TRIADICA Nei termini della scuola di Losanna potremmo definire la funione triadica come la capacità dei genitori di avere tra loro un’alleanza cooperativa fatta di sostegno reciproco, capacità di lasciare spazio all’altro o di entrare in una relazione empatica con il partner e con il babino. E’ un “gioco di squadra”. Questo presuppone la capacità del genitore di vedere il bambino dentro una relazione dove esiste un terzo. La presenza del terzo, che può essere anche solo percepita, dà al bambino un orizzonte molto più aperto dove collocarsi, e offre al bambino possibilità di adattamento e di interazione molto maggiori. Esiste a livello di affetti un contatto reciproco tra la coppia genitoriale e il bambino che mantiene viva e dinamica la relazione.
    Funzione DIFFERENZIALE Al suo interno la genitorialità ha due modalità di esprimersi attraverso la modalità materna (maternalità) e attraverso la modalità paterna (paternalità). Non è semplice nella fase attuale generalizzare attribuendo esclusivamente alla donna la funzione materna e all’uomo la funzione paterna in quanto tali modalità entrambe presenti nel genitore interno, sia del padre che della madre, possono esprimersi con accentuazioni e percentuali molto diverse. Va tuttavia riconosciuto che all’interno di una coppia genitoriale entrambe le funzioni devono essere presenti per permettere un gioco relazionale sano. In modo semplicistico possiamo dire che, nelle prime fasi evolutive, la funzione materna si ancora in una modalità relazionale duale mentre la funzione paterna ha da una parte il compito di proteggere la diade da interferenze esterne e dall’altra di aprirla e riportarla in un ambito triadico . Ma in tutte le fasi evolutive del bambino il gioco tra le diverse modalità genitoriali diventa essenziale per uno sviluppo psichico sano . Si veda ad esempio la funzione limitante e vertebrante della paternalità
    Funzione TRANSGENERAZIONALE Potremmo definire questa funzione come l’immissione del figlio dentro una STORIA, una narrazione, che appare reale e anche un po’ sognata. E’ la storia della propria famiglia, è il continuum generazionale dove si inserisce la nascita. Nel Vangelo un’intera pagina è dedicata alla genealogia di Gesù quasi a dire che nessuna nascita nemmeno la più inconcepibile può avvenire se non è inserita in una storia generazionale. Questa funzione rimanda ovviamente ai rapporti tra generazioni. Come si collocano i genitori dentro le rispettive storie familiari e come si colloca la nascita dentro quel particolare momento della storia generazionale. E quali sono gli intrecci tra le due storie familiari del padre e della madre, le relazioni tra le due famiglie d’origine…E’ anche questa un’altra complessità che determina lo spazio storico in cui è collocato il neonato e la sua immagine relazionale come essere che avrà un insieme di relazioni o come essere in cui esiste un veto rispetto ad un ramo familiare o ad una particolare persona. Muratori riporta una frase del Talmud che dice “ci vogliono tre generazioni per fare un figlio” intendendo appunto la storia che sta dietro alla nascita di ogni bambino e che lo inserisce in un “prima” e quindi, appunto perché c’è un prima con la possibilità che vi sia anche un “dopo”.

Si sono viste alcune funzioni genitoriali per sottolineare la complessità e la dinamicità del costrutto di GENITORIALITA’. Come si è visto esso presuppone un insieme di funzioni dinamiche e relazionali che rappresentano gli aspetti evolutivi del percorso maturativo della persona. “Prendersi cura di” e quindi maturare il desiderio generativo è uno degli stadi della crescita umana. Esso non presuppone la nascita di un figlio reale ma è uno spazio mentale e soprattutto relazionale dentro il quale convergono la mia storia affettiva, il mio mondo degli affetti, i miei legami di attaccamento, il mio mondo fantasmatico, il mio narcisismo, il senso che ha per me la mia esistenza, il mio sentirmi parte di una storia, la mia differenziazione sessuale, la mia capacità di vivere relazioni pluri-dinamiche ( e di non essere chiuso in una relazione duale), il mio rapporto con le regole e il sociale, la mia capacità di contenere e regolare i miei stati emotivi, la mia capacità di cambiare e di essere cambiato, il mio sentirmi unico e irripetibile, autonomo ed indipendente e nello stesso tempo bisognoso di “essere pensato da qualcuno”.
Con le parole di Bertolini e Neri: “essere radicati in qualcuno per poter mettere radici in un altro con cui diventare coppia per poi poter offrire ancora ad un altro l’intreccio di queste radici” .
Quanto sia complesso e affascinante questo intreccio è quello che, sinteticamente, si è voluto dimostrare.
Ed è quello che stiamo imparando a chiamare genitorialità.

 
BIBLIOGRAFIA

 

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30 ^MURATORI A. M. Discussione in Società Italiana di Neuropsichiatria infantile, op. cit.

31 ^BERTOLINI M., NERI F. op. cit.

Gianluigi Visentini - psicologo e psicoterapeuta presidio riabilitativo “La Nostra Famiglia” a Padova (www.genitorialità.it)