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Neuropsichiatri infantili, brutta razza

Ieri sono stata dalla neuropsichiatra infantile. La motivazione stava nel fatto che mio figlio  Matteo di 3 anni fa fatica da sempre  a fare la cacca (è nato prematuro e la relazione fra le due cose mi hanno detto che c'è), ma adesso la vicenda era diventata un pò più seria e ho pensato che forse valeva la pena di chiedere aiuto anche al fronte psicologico.

 

Il papà che è andato via 2 anni fa si lamentava che il bambino non voleva più dormire da lui e ha insistito perchè io (non che lo facesse lui, percarità) lo portassi da uno specialista.

L'incontro alla modica cifra di 200 € è stato allucinante.

Difficile raccontare quanto è stata la mia  frustrazione nell'incontrare soloni che sembrano sapere tutto loro, e poi cose del tipo:"la cacca è l’unica separazione che il bimbo può gestire in autonomia. Pertanto lui non se ne libererà mai"; "lei si preoccupa troppo che Matteo non soffra. Non gli permette di esplorare il suo canale del dolore"; "Lei lo allatta ancora? Lei impedisce al bimbo di vivere. E impedisce al padre di avere una vita con lui. È normale che lui non ci voglia stare più" .

Da cui io "ma i neonatologi dicevano che aveva bisogno di latte materno, che gli faceva bene, che lo proteggeva, per questo ho proseguito". E quindi ancora"la smetta di cercare giustificazioni. Guardi in se stessa. Lei ha elaborato il suo lutto attraverso il lutto di Matteo. Passando per il seno materno. "

E via di questo passo.

L'importante per loro è stato colpevolizzarmi, trovare una bella causa precisa precisa nelle cose disgustose che come mamma faccio con mio figlio, ovviamente perchè rifiuto di vedere i problemi miei. Niente da dire invece sul papà, nessuna domanda  a riguardo, e io a dire che lo prende  e lo molla come un pacchetto e che non fa nulla per nascondere il suo fastidio di doversene occupare quando deve farsi i fatti suoi o deve vedere la partita.

Le scrivo perché desidero sapere il suo parere, ma io ho già il mio.

Io penso che se una ha delle domande da porre è bene che si affidi al terapeuta con serenità, ma credo anche che sia importante mantenere ben chiaro in testa il proprio ruolo e la propria autorevolezza di madre. Ho sperimentato che i terapeuti hanno l’innata tendenza a colpevolizzare i genitori (come se non ne avessimo già abbastanza…). Tu invece conosci tuo figlio meglio di chiunque altro, perciò i consigli del terapeuta sono sempre i benvenuti, ma a mio avviso vanno presi con sano spirito critico e riadattati al tuo caso, che è peculiare, come quello di ciascuno di noi.

Insomma: il nostro ruolo di mamme resta tale anche nello scegliere da chi e se farci aiutare. E spesso non sono specialisti come quelli che ho incontrato io che lo possono fare.

(Federica)

 

Cara Federica, lei giustamente sostiene di avere un suo parere sulla vicenda che mi espone, ed io credo che sia un parere ben argomentato. Tuttavia chiede anche il mio, e quindi mi domando se non c’è di fatto qualche parte di lei che ha qualche dubbio sulla fondatezza delle sue argomentazioni...Però mi affida un compito gravoso: quello di fare o l’avvocato difensore o il Pubblico Ministero della categoria dei colleghi da lei citata. Ed io non credo di averne alcun titolo. Posso però esprimere un semplice parere personale (non professionale) sulla vicenda che ha brevemente raccontato, tenendomi però alla larga dalle questioni di merito che il neuropsichiatra ha sollevato in relazione alla stitichezza del bambino, perché ci vorrebbe francamente molto più che una lettera per poterlo fare.

Una vicenda come quella che racconta Federica non è poi così occasionale. Sono molte le mamme che come lei hanno lamentato situazioni e  contesti simili, concludendo che i neuropsichiatri infantili sono “una brutta razza”. Da più parti sento crescere insomma una specie di fastidio per una categoria di specialisti che pur trattando una materia così delicata e connaturata all’esistenza degli esseri umani -più che alla malattia- utilizza spesso modalità di intervento più simili al modello medico, dove sembrano esistere delle certezze nelle cause e nelle procedure, come se si trattasse di estirpare un tumore o una tonsilla, considerando invece tutto il resto delle emozioni che stanno intorno al disturbo (cose molto più incerte e mai generalizzabili come il dolore, il dispiacere e la colpa) come spiacevoli accessori, che al limite si possono spegnere con qualche “anestetico”. Questo discorso non riguarda soltanto i neuropsichiatri, ma anche altre categorie professionali che la nostra società ha indicato come depositari del sapere per la cura dell’anima, della mente e del cuore, come gli psichiatri, i neurologi, e purtroppo a volte anche gli psicologi e gli psicoterapeuti.

Io penso che la relazione madre-figlio sia indubbiamente molto importante nello sviluppo del bambino ma che essa non sia mai da indicare come unica causa diretta di alcun disturbo. Le cause-effetto in questo campo non sono infatti lineari e i discorsi sono sempre complessi; mai soprattutto si possono fare generalizzazioni del tipo di quelle raccontate qui sopra, come se fossero certezze assolute. Spesso i disturbi dei bambini non sono vere malattie o patologie, sono semmai segni di un malessere più generale che vanno pazientemente interpretati e compresi. Per far questo, la luce al neon di un interrogatorio del tipo “commissariato di polizia” non mi sembra in effetti lo strumento più adatto. Questa mamma, rivolgendosi ad uno specialista, ha mostrato almeno in teoria il desiderio di prendersi carico del malessere del figlio, e questa disponibilità va indubbiamente sostenuta e valorizzata, non schiacciata sotto il senso di colpa che già inevitabilmnete coglie chiunque si trovi a fare i conti col malessere di un figlio.

Penso che per tutti gli specialisti dell’anima, della mente e del cuore, debba valere il detto "la relazione prima di tutto", prima del “che cosa fare” e sicuramente prima del “perché accade”; e questo soprattutto all’inizio, perchè senza un’alleanza terapeutica fra specialista e utente nulla -secondo me- si può fare. E se dunque è più importante la relazione di tutto il resto, spesso ciò significa che sta agli utenti trovare "la persona giusta" per loro, e che non basta una targa o una specializzazione appropriata a qualificarla come tale. Non mi stancherò mai di dire che trovare la giusta persona che ci aiuti sulle questioni psicologiche è già aver trovato la metà della soluzione. Mi rendo conto che non tutti sono disposti a fare numerosi colloqui da diversi professionisti prima di scegliere quello più giusto per loro. Eppure quella è l’unica soluzione che mi sento di suggerire, perché la variabile individuale in questo nostro strano mestiere vale quanto o forse più delle lauree che abbiamo preso e del numero di anni di esperienza che possiamo vantare (altri fattori comunque molto importanti).

Non è dunque che la “razza” sia di per se brutta; è che come in tutte le categorie professionali ci sono quelli in grado di cogliere i nostri bisogni più profondi sulla questione e quelli che ritengono che vada bene applicare protocolli e modalità standard, validi in tutti i casi. Ma lo stesso vale per un avvocato, un commercialista e anche per un maestro di scuola o di pittura, e anche per un gestore di ristorante (per dire)…Detto questo voglio però aggiungere che nella mia esperienza vi sono molte persone che vanno dallo specialista solo per convincersi che non hanno bisogno di loro, quasi per pagare un pegno, per dimostrare qualcosa a se stessi (o ai parenti). Vanno cioè già pronti a cogliere più quello che non va che quello che va, con l’attesa spesso magica che quello bravo è quello che risolve tutto con un incontro o meglio ancora con una bacchetta magica. Se la predisposizione d’animo è di questo genere, allora succede spesso che quello che dice lo specialista suoni effettivamente come inadeguato, e una parola fuori posto, magari francamente sbagliata, fanno immediatamente concludere al genitore che non è di lui/lei che hanno bisogno e che fanno sicuramente meglio da soli. La fiducia che è alla base di una relazione terapeutica fra specialista ed utente, nel caso di disturbi di carattere psicologico è ancora più importante che nel caso di altri disturbi; ma ahimè non si costruisce in un solo incontro. Occorre a volte dare il tempo, aspettare un po’ prima di trarre le conclusioni, accettare che la soluzione abbia tempi un po’ più lunghi di quelli cui ci ha abituato l’approccio medico, che ormai domina sui temi della “cura” nella società in cui viviamo.

Non saprei dunque dire a Federica se è stata sfortunata oppure se lei per prima, ad un esame più approfondito, non desideri affatto un aiuto, quale che sia la ragione per cui non lo desidera. Lei sola lo può sapere.So però che molto spesso, quando si è genitori soli e l’altro genitore –come sembra in questo caso-  non è lì a fare la sua parte sui temi educativi, allora -nell’interesse del piccolo che dobbiamo crescere- sarebbe sempre opportuno trovare qualcuno con buone competenze cui affidarci con fiducia. Ci provi ancora dunque Federica a trovarlo questo aiuto, non desista. Credo che anche Matteo alla fine ne sarà felice.

Un caloroso in bocca al lupo.

 

 

(a cura di L.Francioli)

 

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